Arte e trasgressione
Trasgredire, raggiungere un punto limite: di qua lo spazio delimitato dalla norma, dalle regole, dai codici comuni; di là lo spazio aperto, privo di norme precostituite. Arte e trasgressione hanno a che vedere con questo spazio indefinito, che ci fa sentire liberi da quel che ci costringe a essere quel che siamo, dentro il nostro limite, dentro il suo imperativo.
Raggiungere questo punto limite può corrispondere, ad esempio, a un tirarsi indietro. In questo senso la trasgressione artistica si compirebbe nell’eseguire un movimento contrario a quello consueto della volontà di affermazione di sé, del narcisismo e dell’onnipotenza: ci si tira indietro rispetto all’io, alle sue istanze di affermazione.
Si compie un passo indietro per aprire all’infinito, per farlo venire in avanti, per liberarlo da ciò che solitamente lo comprime: lo spazio chiuso della nostra identità. L’io diventa semplice testimone, assiste, vede, mostra quello che c’è. Siamo al limite del linguaggio, sulla soglia di ciò che è spiegabile con i segni e le parole.
L’unica cosa che ancora rimane è il sentire che, di questo infinito, ci restituisce parti tangibili, che esistono perchè se ne sente l’esistenza. Non i fantasmi della mente, ma qualcosa di stringente, toccante, invadente.
Questa componente la ritroviamo nel quadro tra le sue parti concrete e oggettive: colori, linee, forme e tutto ciò che lo rendono un prodotto visibile.
Marzo 2009
Trittico - "gli invisibili"- 2009
pannello intonacato, olio, ferro
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Hai cambiato il titolo del trittico??
Non era "metamorfosi"?
Ormai per me questo quadro è associato a una metamorfosi perché ci avevo ragionato e avevo tratto la mia conclusione.
Ovvero il primo, il ferro, è una maschera, dura, che copre quello che c'è sotto.
Il secondo, rosso, è la carne, morbida, tenera, insanguinata, come dici anche tu, rossa.
Ma poi c'è il terzo, che significa
che
si giunge ad un compromesso tra la voglia di mostrar la propria carne debole (perché indifesa, tenera, debole perché ferita) e la voglia di proteggerla, nasconderla.
Quindi la metamorfosi di cose contrapposte (carne tenera e corazza dura), che si trasformano, entrambe, per giungere ad un compromesso.
E' così per tutti no?
Prima c'è una dura corazza
quando la corazza si rompe tutto quello che c'era dietro si riversa fuori senza più protezioni e impedimenti, ci si espone al rischio di essere feriti,
infine si trova un proprio equilibrio psicodinamico.
Ecco, a tutto questo mi aveva fatto pensare "la metamorfosi".
Ma a proposito di compromesso… "La metamorfosi de Gli Invisibili" ?
Oppure il titolo di questo commento…. che però è un po' "Apareggiante", è talmente strano e incomprensibile, che sarebbe da farci un convegno.. ;)
Notte.
Mi piace che il trittico si presti a molteplici letture e quella che tu Tiziana proponi riferendoti al titolo "metamorfosi" che gli avevo dato in precedenza, mi piace proprio, ci sta tutta. E' da notare che le conclusioni che hai esposto sul titolo "metamorfosi", per certi versi si adattano anche al nuovo titolo "gli invisibili" che ho dato in seguito: quello che si scopre sotto la maschera di ferro è ciò che solitamente rimane invisibile.
Il titolo però l'ho cambiato perché ho sempre l’esigenza che i titoli di tutti i miei quadri siano meno vincolanti possibile. Vorrei cioè evitassero di suggerire in qualche modo delle interpretazioni precostituite. Metamorfosi dice già qualcosa di troppo preciso sulla natura di ciò che ci si trova davanti quando si guarda il trittico, indica una direzione interpretativa, configura un movimento, una specifica ragion d’essere di quelle strane forme che vediamo. E’ vero che nelle diverse figure del trittico si può vedere una metamorfosi in atto - non è un caso che sia il primo titolo che gli ho dato - ed è veramente interessante il modo in cui tu l’hai interpretata, mi piace davvero molto, ma non c’è solo questo.
Il titolo “gli invisibili” - che mi è venuto in mente per via indiretta, perchè è nato dallo scritto sulla foto in bianco e nero della mia prima comunione - risulta invece molto meno vincolate, più aperto. Pur indicando comunque sempre qualcosa verso cui indirizzare la nostra interpretazione, crea, innanzitutto, una specie di paradosso: gli invisibili-visibili. Poi, comunque, riflette meglio l’intento del mio lavoro in generale che vorrebbe essere proprio quello di rendere visibile “gli invisibili” (qualcosina di più in merito a questa cosa ho già cercato di dirla in Presa diretta.
Quelle forme lì che si vedono nel trittico, fatte di ferro, intonaco e colore spatolato, non sono razionalmente ricunducibili a nulla di esistente, fuori e dentro le mura della nostra mente. Fino a poco prima erano inesistenti. Ora ci sono. Sono frutto di pura invenzione? Di un casuale e del tutto arbitrario vezzo creativo, fine a se stesso? Se fosse così, smetterei subito di perdere tempo in questa inutile attività (spesso mi sembra inutile lo stesso!). A me piace pensare che la loro esistenza non è dovuta solo al semplice fatto che ora, per mia deliberata e arbitraria decisione, se ne stanno li appese al muro. Ho la pretesa di pensare (e se fosse il tentativo disperato di resistere alla constatazione del fallimento?) che la loro esistenza si affermi perchè hanno dentro qualcosa che li rende visibili pur essendo degli “invisibili”, parlanti pur essendo muti.
Detto questo mi sono convinto che “la metamorfosi degli invisibili” sia un titolo splendido, perfetto direi, veramente. E’ il suo titolo. Grazie Tiziana.
Grazie a te per la tua voglia di metterti sempre in gioco.
E allora provo a giocare anche io.
In riferimento all'ultima parte del tuo discorso, forse tra l'essere lì per caso e l'essere lì per una forza superiore intrinseca al quadro stesso, c'è una via di mezzo, che potresti essere tu.
Hai ragione, la loro presenza non si tratta di un semplice vezzo creativo ne di una tua "arbitraria" e "deliberata" decisione.
Tu dici che hanno dentro qualcosa che li rende visibili. Ma non a tutti sono visibili.
Li crei tu perché sono visibili a te. Non esisterebbero senza di te. Infondo sei tu che li rendi visibili, creandoli. Ma questo non implica necessariamente che sia una creazione "arbitraria". Perché se tu non li vedessi non li creeresti.
Il punto ora è: perché tu li vedi e io no?
Forse per lo stesso motivo per cui tu non sogni i miei sogni.
Forse in ciascuno di noi c'è qualcosa di visibile e invisibile a noi stessi. Invisibile perché sta in un posto dove di solito non accediamo, non con la nostra lucidità razionale per lo meno. Visibile perché in qualche modo questo qualcosa si manifesta, anche se in una modalità che va oltre i nessi logici-linguistici. A volte il pennello dice quelle cose a cui la logica non arriva. Non perché la logica sia inferiore o superiore, ma per il semplice fatto che parla una lingua differente.
Notte.
(Ps: forse gli invisibili vengono da K-pax. O forse è K-pax che è solo un'altro modo in cui si manifestano gli invisibili… ?! )
Leggendo il tuo ultimo post mi rendo conto quanto utile possa essere questo scambio, innanzitutto a me stesso. Sui miei quadri faccio molta fatica a scrivere qualcosa che rimanga, per così dire, con i piedi piantati per terra. Quello di scrivere stramberie è un rischio che corro continuamente, perchè scrivere risulta per me un esercizio faticoso, perchè sono lento nel pensiero, perchè tradurre i quadri in parole è una forzatura, quasi un controsenso, e lo faccio unicamente perchè non c’è nessun altro che lo fa al posto mio.
Tu chiedi da dove vengono gli invisibili. Potrei dire tante cose su dove vengono gli invisibili, tranne che siano delle entità che stanno in un qualche strano posto e che solo io riesco a vedere. Ho passato la mia vita a sentirmi invisibile e ancora oggi mi sento così (un sentimento che probabilmente è comune a tante altre persone). Quando ho finito il trittico mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e, da qualche parte, in maniera provocatoria, ma non solo, ho scritto e anche detto che il trittico era il mio Guernica. Non era un delirio di onnipotenza, volevo solo dire che in questo lavoro ero riuscito nel mio intento, sentivo di essermi espresso artisticamente e, in quel momento, sentivo di non essere più invisibile (non per molto…).
Tra le cose a cui il titolo gli invisibili può essere ricondotto (provocatoriamente), ci sta il fatto che il trittico risulta, agli occhi dei più, invisibile. Le persone lo guardano (quasi tutte) e non lo vedono. Per vedere quello che c’è occorrerebbe facessero come se fosse la prima volta che aprono gli occhi per guardare, proprio come se non avessero mai visto niente prima di allora. Lo sguardo di chi osserva invece è quello di occhi abituati a guardare in modo tale da riuscire a vedere solo quello che già conoscono, solo quello che già hanno visto. Parafrasando quello che hai scritto tu, Tiziana, si potrebbe dire che il pennello ci fa vedere quelle cose a cui la logica non arriva. Non perché la logica sia inferiore o superiore, ma per il semplice fatto che guarda con occhi differenti. A questi occhi il trittico rimane invisibile, anche se è grande più di tre metri. Invisibile come tutto ciò che rimane nascosto sotto le croste ideologiche del nostro mondo estetico, psicologico, culturale.
Mentre scrivo questa cosa mi sembra di capire che forse questa è la chiave interpretativa più vicina al mio lavoro. Nel senso che lo sforzo maggiore di quello che sto facendo vorrebbe essere orientato proprio nella direzione di un “azzeramento dello sguardo”. Ed è la ragione principale per cui, in questo momento, ho scelto di utilizzare un linguaggio astratto.
Mi piace questa idea di “azzerare lo sguardo”, non solo come modalità artistica, mi piace di per se, mi piace l’idea di proporre e praticare un “azzeramento” che può permettere di vedere e sentire quelle cose che di solito non vediamo, gli invisibili, e che non sentiamo, il profumo del rosmarino (dentro e fuori di noi). Il trittico è quello che è perchè si trova su questo percorso, di cui spesso mi capita di perdere le tracce . E’ come se gli invisibili fossero l’espressione, fatta di colori e forme, del sentire il sentimento che ci sta sotto, (il profumo del rosmarino?). E’ da li che vengono gli invisibili.
Mi pare di leggere nelle tue parole alcune cose che ho vissuto al Gruppo. Il Fatto che spesso, le persone, quando arrivano al Gruppo sono “invisibili”, o meglio si sentono tali. Il fatto che al gruppo ci si sente guardati con occhi nuovi, fino a che, ad un certo punto, si smette di sentirsi invisibili…. Anche io a volte mi sento invisibile. E' difficile smettere. Ma al di là delle proprie sensazioni, quando gli altri iniziano a guardarti con occhi nuovi, allora a poco a poco impari ad “esserci”. Imparare ad esserci ci permette di non essere più invisibili. Finché siamo invisibile possiamo permetterci di fare cazzate, perché tanto non dobbiamo rendere conto a nessuno. Quando iniziamo a venire fuori dalla nostra invisibilità però, allora dobbiamo cominciare a rendere conto agli altri di quello che facciamo, dobbiamo iniziare a prendere una posizione, ad assumerci delle responsabilità.
Mi piace l'idea di guardare le cose con occhi nuovi, solo mi sembra troppo forte il concetto di “azzeramento”. Penso che per vedere e sentire quelle cose che di solito non vediamo, non abbiamo bisogno di azzerare tutto. Al contrario, abbiamo bisogno di utilizzare meglio ciò che abbiamo, imparare ad utilizzarlo in modi nuovi a cui prima non avevamo pensato: oltrepassare i limiti che ci auto-imponiamo e che ci consentono di vedere solo ciò che “siamo abituati a vedere”. Se azzeriamo tutto rischiamo di buttare via anche gli strumenti che potrebbero esserci utili per “guardare”. Ma essi sono utili a patto che impariamo a usarli…. E come si fa ad imparare ad usarli? Non lo so. Però mi viene in mente che “imparare” comporta quasi sempre un certo sforzo e quindi prima di tutto abbiamo bisogno di una motivazione che ci faccia venire la voglia di sostenere tale sforzo. Se abbiamo una bussola sappiamo dov'è il nord, ma è inutile saperlo se non sappiamo dove vogliamo andare….
Quindi io non parlerei di “azzeramento dello sguardo” ma di “ristrutturazione dello sguardo” partendo dalla possibilità di sfruttare le cose che già abbiamo. Sfruttarle significa sia imparare ad usare gli strumenti che possediamo sia imparare ad usarli in modo sinergico. Usarli in modo sinergico significa prima di tutto stabilire “per che cosa” utilizzarli, in modo tale da poter impiegare tutti i remi per remare nella stessa direzione. E quindi, come dice Genti, significa prima di tutto fare un progetto. In secondo luogo significa avere un buon metro di misura per misurare la qualità dei nostri risultati senza confonderci. Questo concetto del “metro di misura” mi sembra la chiave di volta che sorregge l'arco. Credo che non ci sia miglior metro di misura del confronto con gli altri.
Allora, in conclusione possiamo dire che il trittico è qualcosa che ci stimola ad utilizzare meglio i nostri strumenti per guardare con occhi nuovi ciò che ci circonda?
Quando il gioco si fa duro… Azzeramento con ristrutturazione? Non sono d'accordo Tiziana. Certo, se mi prendi alla lettera hai ragione tu. Ma non si deve (e mi verrebbe da dire non si può) prendere alla lettera il concetto di azzeramento. Va visto in trasparenza, non è possibile cancellare tutto, anche volendo, come si potrebbe, a meno di pensare che sia possibile con una semplice gomma, tornare ad essere dei primitivi o degli infanti ancora in fasce, e perchè poi? L'azzeramento dello sguardo che propongo fa piuttosto riferimento ad un atteggiamento consapevole, che per essere ottenuto ha bisogno di tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione; io la vedo come una condizione del "guardare" che riesce a porsi al di qua, prima, di qualsiasi giudizio-crosta che possa condizionarne la visione. Nello sguardo di chi apre gli occhi come fosse la prima volta, quel come fosse è determinante. Non c'è bisogno di abbandonare nessuno dei nostri bagagli di conoscenza, anzi è proprio questo il momento in cui più servono.
Trovi il termine azzeramento troppo radicale? Dipende da cosa viene posta questa necessità, la sua radicalità comunque vuole essere soprattutto provocatoria, anche se per il trittico potrebbe essere la cosa più utile. E comunque, come dicevo nello scritto precedente, potrebbe essere che sto dicendo un mucchio di stramberie.. già mi confondo nel pensiero, immagina tu cosa può succedere quando pretendo pure di scrivere sopra le cose che penso…
L'altro giorno ho conosciuto un artista, una bella persona, anziano ormai e malato. Parlava al pubblico presente e tra le diverse cose raccontò un piccolo aneddoto. Una signora lo avvicinò mentre guardava i suoi quadri e gli disse: io sono ignorante e non capisco bene… però i suoi quadri mi piacciono molto. Lui le rispose che non doveva dire che era ignorante, che non c'entrava niente con i suoi quadri. Ignorante, colto, intelligente… non c'entrano niente con i miei quadri.
ciao Tiziana e grazie davvero per il tuo prezioso contributo.
"Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio."
(Stanley Kubrick)
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