Leggendo il tuo ultimo post mi rendo conto quanto utile possa essere questo scambio, innanzitutto a me stesso. Sui miei quadri faccio molta fatica a scrivere qualcosa che rimanga, per così dire, con i piedi piantati per terra. Quello di scrivere stramberie è un rischio che corro continuamente, perchè scrivere risulta per me un esercizio faticoso, perchè sono lento nel pensiero, perchè tradurre i quadri in parole è una forzatura, quasi un controsenso, e lo faccio unicamente perchè non c’è nessun altro che lo fa al posto mio.
Tu chiedi da dove vengono gli invisibili. Potrei dire tante cose su dove vengono gli invisibili, tranne che siano delle entità che stanno in un qualche strano posto e che solo io riesco a vedere. Ho passato la mia vita a sentirmi invisibile e ancora oggi mi sento così (un sentimento che probabilmente è comune a tante altre persone). Quando ho finito il trittico mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e, da qualche parte, in maniera provocatoria, ma non solo, ho scritto e anche detto che il trittico era il mio Guernica. Non era un delirio di onnipotenza, volevo solo dire che in questo lavoro ero riuscito nel mio intento, sentivo di essermi espresso artisticamente e, in quel momento, sentivo di non essere più invisibile (non per molto…).
Tra le cose a cui il titolo gli invisibili può essere ricondotto (provocatoriamente), ci sta il fatto che il trittico risulta, agli occhi dei più, invisibile. Le persone lo guardano (quasi tutte) e non lo vedono. Per vedere quello che c’è occorrerebbe facessero come se fosse la prima volta che aprono gli occhi per guardare, proprio come se non avessero mai visto niente prima di allora. Lo sguardo di chi osserva invece è quello di occhi abituati a guardare in modo tale da riuscire a vedere solo quello che già conoscono, solo quello che già hanno visto. Parafrasando quello che hai scritto tu, Tiziana, si potrebbe dire che il pennello ci fa vedere quelle cose a cui la logica non arriva. Non perché la logica sia inferiore o superiore, ma per il semplice fatto che guarda con occhi differenti. A questi occhi il trittico rimane invisibile, anche se è grande più di tre metri. Invisibile come tutto ciò che rimane nascosto sotto le croste ideologiche del nostro mondo estetico, psicologico, culturale.
Mentre scrivo questa cosa mi sembra di capire che forse questa è la chiave interpretativa più vicina al mio lavoro. Nel senso che lo sforzo maggiore di quello che sto facendo vorrebbe essere orientato proprio nella direzione di un “azzeramento dello sguardo”. Ed è la ragione principale per cui, in questo momento, ho scelto di utilizzare un linguaggio astratto.
Mi piace questa idea di “azzerare lo sguardo”, non solo come modalità artistica, mi piace di per se, mi piace l’idea di proporre e praticare un “azzeramento” che può permettere di vedere e sentire quelle cose che di solito non vediamo, gli invisibili, e che non sentiamo, il profumo del rosmarino (dentro e fuori di noi). Il trittico è quello che è perchè si trova su questo percorso, di cui spesso mi capita di perdere le tracce . E’ come se gli invisibili fossero l’espressione, fatta di colori e forme, del sentire il sentimento che ci sta sotto, (il profumo del rosmarino?). E’ da li che vengono gli invisibili.