In onore delle nostre vecchie interminabili discussioni, potremmo pensare ad uno spazio per un pensiero su questo, quando hai 40 minuti sono sicura che ti piacerà, io ti ho pensato molto vedendolo:
http://www.spiweb.it/IT/index.php?option=com_content&task=view&id=1804&Itemid=218
Ho visto il filmato, mi è piaciuto molto e in effetti la sua ricerca sugli invisibili ha diversi punti di contatto con il mio lavoro anche se posta su un piano differente. Ci sarebbero molte cose da dire… quando ho un po' più di tempo cercherò di farlo. Intanto grazie davvero per questa cosa che riporta piacevolmente alle vecchie interminabili e apprezzatissime discussioni.
ciao!
Quello degli “invisibili” si può dire che sia un tema sempre presente in tutti i miei lavori, in alcuni in maniera indiretta, in altri in modo evidente e dichiarato (il titolo del trittico è “gli invisibili”).
Davide Pizzigoni questo tema lo affronta su un piano assai diverso dal mio e, contrariamente a quanto succede nei miei lavori, ha il merito di farlo in maniera molto più convincente ed efficace (ed anche più comprensibile), anche se, a mio modesto parere, risulta un poco estetizzante (malgrado le sue intenzioni).
Il punto di incontro del suo lavoro col mio è il mancato riconoscimento, l’invisibilità, che subisce ciò che è fuori dai circuiti normativi, dai codici socialmente e culturalmente accettati e codificati. Questo può accadere sia sul piano sociale, come nella visione di Pizzigoni, che sul piano del linguaggio espressivo, come nei miei lavori.
La grande differenza tra il mio lavoro e quello di Pizzigoni – senza voler considerare la cosa più ovvia relativa al linguaggio formale - è l’incompiutezza. Se c’è un valore nel mio lavoro, consiste unicamente nell’intento che lo ha animato sin dall’inizio, per il resto, ci si trova semplicemente di fronte a lavori frutto di un percorso iniziato da pochi anni (e già interrotto), con risultati quasi sempre mediocri (non è falsa modestia). L’intento però era ed è assai importante e ha sicuramente a che fare con gli “invisibili”: provare a mettere insieme un linguaggio espressivo “fuori copione”. Uso questa espressione non a caso, il link, si capisce, è quello della morte del cigno.
Fuori copione non per fare l’originale o il diverso ad ogni costo. Fuori copione per andare dentro di se. Dentro il copione c’è solo la recita, è già tutto scritto, ben leggibile, visibile. Fuori copione ci sono gli invisibili; Pizzigoni li ha fotografati nei vari musei: guardiani che sono li, sotto gli occhi di tutti ma che, paradossalmente, rimangono invisibili. In questa loro invisibilità ha voluto cogliere il loro essere quello che sono, senza filtri precostituiti. In un certo senso io stesso nei miei quadri miravo a “fotografare” gli invisibili, quelli che stanno dentro il mio “museo”.
Anche il cigno che non vuole morire l’ho “fotografato” lì. E’ una figura che mi appartiene. Indipendentemente dal fatto che sia riuscita bene o male, che sia bella o brutta, che possa piacere o no, parla di me. In questo senso è riuscita, è come lo scritto di Pipicelli, quello bello, “Senza tempo”. Solo che quello lo si può leggere senza problemi e così diventa “visibile” a chiunque, il mio cigno invece no e può diventare visibile o invisibile a seconda di chi lo guarda.
Visibile-invisibile; mi piace-non mi piace; acceso-spento. E’ curioso che la “visibilità” (ciò che è condivisibile e riconoscibile come valore?) di ciò che più ti appartiene possa dipendere da un semplice acceso-spento. Come se “Senza tempo” di Pipicelli (ma anche qualsiasi altro scritto) potesse “spegnersi” con un semplice non mi piace.
L'ultima frase mi ha colpito.
Forse lavorare sugli invisibili è anche un modo per eludere questa possibilità: se gli altri non possono vederli, allora non possono dire un seplice "non mi piace".
So che in realtà non è proprio così, perché l'opera piace non per la comprensibilità cognitiva del messaggio ma per quello che trasmette. Tuttavia l'intento iniziale potrebbe nascere da un'intenzione simile…. un desiderio di mettere in gioco parti di sé ma proteggendole, senza cioè lasciarle completamente in balia delle interperie esterne del mondo. Come a dire "è uno spazio importante, privato, delicato, non a tutti è concesso entrare perché a volte dire che non ti piace l'opera esterna è come dire che non ti piace la persona interna".
Comunque ho pensato proprio che tu, più di chiunque altro, avresti saputo entrare nella mente di Pizzigoni per comprenderne l'operato, come dici tu vi muovete su schacchiere simili: anche se fatte di materiali e colori diversi, le regole del gioco sono molto imparentate.