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L'ultima frase mi ha colpito.
Forse lavorare sugli invisibili è anche un modo per eludere questa possibilità: se gli altri non possono vederli, allora non possono dire un seplice "non mi piace".
So che in realtà non è proprio così, perché l'opera piace non per la comprensibilità cognitiva del messaggio ma per quello che trasmette. Tuttavia l'intento iniziale potrebbe nascere da un'intenzione simile…. un desiderio di mettere in gioco parti di sé ma proteggendole, senza cioè lasciarle completamente in balia delle interperie esterne del mondo. Come a dire "è uno spazio importante, privato, delicato, non a tutti è concesso entrare perché a volte dire che non ti piace l'opera esterna è come dire che non ti piace la persona interna".

Comunque ho pensato proprio che tu, più di chiunque altro, avresti saputo entrare nella mente di Pizzigoni per comprenderne l'operato, come dici tu vi muovete su schacchiere simili: anche se fatte di materiali e colori diversi, le regole del gioco sono molto imparentate.

Re: acceso - spento da TizyTizy, 28 Jul 2012 09:45

Quello degli “invisibili” si può dire che sia un tema sempre presente in tutti i miei lavori, in alcuni in maniera indiretta, in altri in modo evidente e dichiarato (il titolo del trittico è “gli invisibili”).

Davide Pizzigoni questo tema lo affronta su un piano assai diverso dal mio e, contrariamente a quanto succede nei miei lavori, ha il merito di farlo in maniera molto più convincente ed efficace (ed anche più comprensibile), anche se, a mio modesto parere, risulta un poco estetizzante (malgrado le sue intenzioni).

Il punto di incontro del suo lavoro col mio è il mancato riconoscimento, l’invisibilità, che subisce ciò che è fuori dai circuiti normativi, dai codici socialmente e culturalmente accettati e codificati. Questo può accadere sia sul piano sociale, come nella visione di Pizzigoni, che sul piano del linguaggio espressivo, come nei miei lavori.

La grande differenza tra il mio lavoro e quello di Pizzigoni – senza voler considerare la cosa più ovvia relativa al linguaggio formale - è l’incompiutezza. Se c’è un valore nel mio lavoro, consiste unicamente nell’intento che lo ha animato sin dall’inizio, per il resto, ci si trova semplicemente di fronte a lavori frutto di un percorso iniziato da pochi anni (e già interrotto), con risultati quasi sempre mediocri (non è falsa modestia). L’intento però era ed è assai importante e ha sicuramente a che fare con gli “invisibili”: provare a mettere insieme un linguaggio espressivo “fuori copione”. Uso questa espressione non a caso, il link, si capisce, è quello della morte del cigno.

Fuori copione non per fare l’originale o il diverso ad ogni costo. Fuori copione per andare dentro di se. Dentro il copione c’è solo la recita, è già tutto scritto, ben leggibile, visibile. Fuori copione ci sono gli invisibili; Pizzigoni li ha fotografati nei vari musei: guardiani che sono li, sotto gli occhi di tutti ma che, paradossalmente, rimangono invisibili. In questa loro invisibilità ha voluto cogliere il loro essere quello che sono, senza filtri precostituiti. In un certo senso io stesso nei miei quadri miravo a “fotografare” gli invisibili, quelli che stanno dentro il mio “museo”.

Anche il cigno che non vuole morire l’ho “fotografato” lì. E’ una figura che mi appartiene. Indipendentemente dal fatto che sia riuscita bene o male, che sia bella o brutta, che possa piacere o no, parla di me. In questo senso è riuscita, è come lo scritto di Pipicelli, quello bello, “Senza tempo”. Solo che quello lo si può leggere senza problemi e così diventa “visibile” a chiunque, il mio cigno invece no e può diventare visibile o invisibile a seconda di chi lo guarda.

Visibile-invisibile; mi piace-non mi piace; acceso-spento. E’ curioso che la “visibilità” (ciò che è condivisibile e riconoscibile come valore?) di ciò che più ti appartiene possa dipendere da un semplice acceso-spento. Come se “Senza tempo” di Pipicelli (ma anche qualsiasi altro scritto) potesse “spegnersi” con un semplice non mi piace.

acceso - spento da adriano Avanziniadriano Avanzini, 29 May 2012 06:54
adriano Avanziniadriano Avanzini 25 Apr 2012 10:31
in discussione Hidden / Per page discussions » Bacheca Adriano

Ho visto il filmato, mi è piaciuto molto e in effetti la sua ricerca sugli invisibili ha diversi punti di contatto con il mio lavoro anche se posta su un piano differente. Ci sarebbero molte cose da dire… quando ho un po' più di tempo cercherò di farlo. Intanto grazie davvero per questa cosa che riporta piacevolmente alle vecchie interminabili e apprezzatissime discussioni.

ciao!

da adriano Avanziniadriano Avanzini, 25 Apr 2012 10:31
TizyTizy 24 Apr 2012 20:31
in discussione Hidden / Per page discussions » Bacheca Adriano

In onore delle nostre vecchie interminabili discussioni, potremmo pensare ad uno spazio per un pensiero su questo, quando hai 40 minuti sono sicura che ti piacerà, io ti ho pensato molto vedendolo:
http://www.spiweb.it/IT/index.php?option=com_content&task=view&id=1804&Itemid=218

da TizyTizy, 24 Apr 2012 20:31
L'aneddoto
adriano (ospite) 29 Sep 2009 15:33
in discussione Hidden / Per page discussions » Arte Trasgressione

Quando il gioco si fa duro… Azzeramento con ristrutturazione? Non sono d'accordo Tiziana. Certo, se mi prendi alla lettera hai ragione tu. Ma non si deve (e mi verrebbe da dire non si può) prendere alla lettera il concetto di azzeramento. Va visto in trasparenza, non è possibile cancellare tutto, anche volendo, come si potrebbe, a meno di pensare che sia possibile con una semplice gomma, tornare ad essere dei primitivi o degli infanti ancora in fasce, e perchè poi? L'azzeramento dello sguardo che propongo fa piuttosto riferimento ad un atteggiamento consapevole, che per essere ottenuto ha bisogno di tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione; io la vedo come una condizione del "guardare" che riesce a porsi al di qua, prima, di qualsiasi giudizio-crosta che possa condizionarne la visione. Nello sguardo di chi apre gli occhi come fosse la prima volta, quel come fosse è determinante. Non c'è bisogno di abbandonare nessuno dei nostri bagagli di conoscenza, anzi è proprio questo il momento in cui più servono.

Trovi il termine azzeramento troppo radicale? Dipende da cosa viene posta questa necessità, la sua radicalità comunque vuole essere soprattutto provocatoria, anche se per il trittico potrebbe essere la cosa più utile. E comunque, come dicevo nello scritto precedente, potrebbe essere che sto dicendo un mucchio di stramberie.. già mi confondo nel pensiero, immagina tu cosa può succedere quando pretendo pure di scrivere sopra le cose che penso…

L'altro giorno ho conosciuto un artista, una bella persona, anziano ormai e malato. Parlava al pubblico presente e tra le diverse cose raccontò un piccolo aneddoto. Una signora lo avvicinò mentre guardava i suoi quadri e gli disse: io sono ignorante e non capisco bene… però i suoi quadri mi piacciono molto. Lui le rispose che non doveva dire che era ignorante, che non c'entrava niente con i suoi quadri. Ignorante, colto, intelligente… non c'entrano niente con i miei quadri.

ciao Tiziana e grazie davvero per il tuo prezioso contributo.

"Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio."
(Stanley Kubrick)

L'aneddoto da adriano (ospite), 29 Sep 2009 15:33

Mi pare di leggere nelle tue parole alcune cose che ho vissuto al Gruppo. Il Fatto che spesso, le persone, quando arrivano al Gruppo sono “invisibili”, o meglio si sentono tali. Il fatto che al gruppo ci si sente guardati con occhi nuovi, fino a che, ad un certo punto, si smette di sentirsi invisibili…. Anche io a volte mi sento invisibile. E' difficile smettere. Ma al di là delle proprie sensazioni, quando gli altri iniziano a guardarti con occhi nuovi, allora a poco a poco impari ad “esserci”. Imparare ad esserci ci permette di non essere più invisibili. Finché siamo invisibile possiamo permetterci di fare cazzate, perché tanto non dobbiamo rendere conto a nessuno. Quando iniziamo a venire fuori dalla nostra invisibilità però, allora dobbiamo cominciare a rendere conto agli altri di quello che facciamo, dobbiamo iniziare a prendere una posizione, ad assumerci delle responsabilità.

Mi piace l'idea di guardare le cose con occhi nuovi, solo mi sembra troppo forte il concetto di “azzeramento”. Penso che per vedere e sentire quelle cose che di solito non vediamo, non abbiamo bisogno di azzerare tutto. Al contrario, abbiamo bisogno di utilizzare meglio ciò che abbiamo, imparare ad utilizzarlo in modi nuovi a cui prima non avevamo pensato: oltrepassare i limiti che ci auto-imponiamo e che ci consentono di vedere solo ciò che “siamo abituati a vedere”. Se azzeriamo tutto rischiamo di buttare via anche gli strumenti che potrebbero esserci utili per “guardare”. Ma essi sono utili a patto che impariamo a usarli…. E come si fa ad imparare ad usarli? Non lo so. Però mi viene in mente che “imparare” comporta quasi sempre un certo sforzo e quindi prima di tutto abbiamo bisogno di una motivazione che ci faccia venire la voglia di sostenere tale sforzo. Se abbiamo una bussola sappiamo dov'è il nord, ma è inutile saperlo se non sappiamo dove vogliamo andare….
Quindi io non parlerei di “azzeramento dello sguardo” ma di “ristrutturazione dello sguardo” partendo dalla possibilità di sfruttare le cose che già abbiamo. Sfruttarle significa sia imparare ad usare gli strumenti che possediamo sia imparare ad usarli in modo sinergico. Usarli in modo sinergico significa prima di tutto stabilire “per che cosa” utilizzarli, in modo tale da poter impiegare tutti i remi per remare nella stessa direzione. E quindi, come dice Genti, significa prima di tutto fare un progetto. In secondo luogo significa avere un buon metro di misura per misurare la qualità dei nostri risultati senza confonderci. Questo concetto del “metro di misura” mi sembra la chiave di volta che sorregge l'arco. Credo che non ci sia miglior metro di misura del confronto con gli altri.

Allora, in conclusione possiamo dire che il trittico è qualcosa che ci stimola ad utilizzare meglio i nostri strumenti per guardare con occhi nuovi ciò che ci circonda?

....ristrutturazione... da TizyTizy, 29 Sep 2009 13:33

Leggendo il tuo ultimo post mi rendo conto quanto utile possa essere questo scambio, innanzitutto a me stesso. Sui miei quadri faccio molta fatica a scrivere qualcosa che rimanga, per così dire, con i piedi piantati per terra. Quello di scrivere stramberie è un rischio che corro continuamente, perchè scrivere risulta per me un esercizio faticoso, perchè sono lento nel pensiero, perchè tradurre i quadri in parole è una forzatura, quasi un controsenso, e lo faccio unicamente perchè non c’è nessun altro che lo fa al posto mio.

Tu chiedi da dove vengono gli invisibili. Potrei dire tante cose su dove vengono gli invisibili, tranne che siano delle entità che stanno in un qualche strano posto e che solo io riesco a vedere. Ho passato la mia vita a sentirmi invisibile e ancora oggi mi sento così (un sentimento che probabilmente è comune a tante altre persone). Quando ho finito il trittico mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e, da qualche parte, in maniera provocatoria, ma non solo, ho scritto e anche detto che il trittico era il mio Guernica. Non era un delirio di onnipotenza, volevo solo dire che in questo lavoro ero riuscito nel mio intento, sentivo di essermi espresso artisticamente e, in quel momento, sentivo di non essere più invisibile (non per molto…).

Tra le cose a cui il titolo gli invisibili può essere ricondotto (provocatoriamente), ci sta il fatto che il trittico risulta, agli occhi dei più, invisibile. Le persone lo guardano (quasi tutte) e non lo vedono. Per vedere quello che c’è occorrerebbe facessero come se fosse la prima volta che aprono gli occhi per guardare, proprio come se non avessero mai visto niente prima di allora. Lo sguardo di chi osserva invece è quello di occhi abituati a guardare in modo tale da riuscire a vedere solo quello che già conoscono, solo quello che già hanno visto. Parafrasando quello che hai scritto tu, Tiziana, si potrebbe dire che il pennello ci fa vedere quelle cose a cui la logica non arriva. Non perché la logica sia inferiore o superiore, ma per il semplice fatto che guarda con occhi differenti. A questi occhi il trittico rimane invisibile, anche se è grande più di tre metri. Invisibile come tutto ciò che rimane nascosto sotto le croste ideologiche del nostro mondo estetico, psicologico, culturale.

Mentre scrivo questa cosa mi sembra di capire che forse questa è la chiave interpretativa più vicina al mio lavoro. Nel senso che lo sforzo maggiore di quello che sto facendo vorrebbe essere orientato proprio nella direzione di un “azzeramento dello sguardo”. Ed è la ragione principale per cui, in questo momento, ho scelto di utilizzare un linguaggio astratto.

Mi piace questa idea di “azzerare lo sguardo”, non solo come modalità artistica, mi piace di per se, mi piace l’idea di proporre e praticare un “azzeramento” che può permettere di vedere e sentire quelle cose che di solito non vediamo, gli invisibili, e che non sentiamo, il profumo del rosmarino (dentro e fuori di noi). Il trittico è quello che è perchè si trova su questo percorso, di cui spesso mi capita di perdere le tracce . E’ come se gli invisibili fossero l’espressione, fatta di colori e forme, del sentire il sentimento che ci sta sotto, (il profumo del rosmarino?). E’ da li che vengono gli invisibili.

Azzeramento da adriano Avanziniadriano Avanzini, 29 Sep 2009 11:34

Grazie a te per la tua voglia di metterti sempre in gioco.
E allora provo a giocare anche io.

In riferimento all'ultima parte del tuo discorso, forse tra l'essere lì per caso e l'essere lì per una forza superiore intrinseca al quadro stesso, c'è una via di mezzo, che potresti essere tu.

Hai ragione, la loro presenza non si tratta di un semplice vezzo creativo ne di una tua "arbitraria" e "deliberata" decisione.
Tu dici che hanno dentro qualcosa che li rende visibili. Ma non a tutti sono visibili.
Li crei tu perché sono visibili a te. Non esisterebbero senza di te. Infondo sei tu che li rendi visibili, creandoli. Ma questo non implica necessariamente che sia una creazione "arbitraria". Perché se tu non li vedessi non li creeresti.

Il punto ora è: perché tu li vedi e io no?

Forse per lo stesso motivo per cui tu non sogni i miei sogni.

Forse in ciascuno di noi c'è qualcosa di visibile e invisibile a noi stessi. Invisibile perché sta in un posto dove di solito non accediamo, non con la nostra lucidità razionale per lo meno. Visibile perché in qualche modo questo qualcosa si manifesta, anche se in una modalità che va oltre i nessi logici-linguistici. A volte il pennello dice quelle cose a cui la logica non arriva. Non perché la logica sia inferiore o superiore, ma per il semplice fatto che parla una lingua differente.

Notte.

(Ps: forse gli invisibili vengono da K-pax. O forse è K-pax che è solo un'altro modo in cui si manifestano gli invisibili… ?! )

Da dove vengono gli Invisibili??? da TizyTizy, 23 Sep 2009 21:11

Mi piace che il trittico si presti a molteplici letture e quella che tu Tiziana proponi riferendoti al titolo "metamorfosi" che gli avevo dato in precedenza, mi piace proprio, ci sta tutta. E' da notare che le conclusioni che hai esposto sul titolo "metamorfosi", per certi versi si adattano anche al nuovo titolo "gli invisibili" che ho dato in seguito: quello che si scopre sotto la maschera di ferro è ciò che solitamente rimane invisibile.

Il titolo però l'ho cambiato perché ho sempre l’esigenza che i titoli di tutti i miei quadri siano meno vincolanti possibile. Vorrei cioè evitassero di suggerire in qualche modo delle interpretazioni precostituite. Metamorfosi dice già qualcosa di troppo preciso sulla natura di ciò che ci si trova davanti quando si guarda il trittico, indica una direzione interpretativa, configura un movimento, una specifica ragion d’essere di quelle strane forme che vediamo. E’ vero che nelle diverse figure del trittico si può vedere una metamorfosi in atto - non è un caso che sia il primo titolo che gli ho dato - ed è veramente interessante il modo in cui tu l’hai interpretata, mi piace davvero molto, ma non c’è solo questo.

Il titolo “gli invisibili” - che mi è venuto in mente per via indiretta, perchè è nato dallo scritto sulla foto in bianco e nero della mia prima comunione - risulta invece molto meno vincolate, più aperto. Pur indicando comunque sempre qualcosa verso cui indirizzare la nostra interpretazione, crea, innanzitutto, una specie di paradosso: gli invisibili-visibili. Poi, comunque, riflette meglio l’intento del mio lavoro in generale che vorrebbe essere proprio quello di rendere visibile “gli invisibili” (qualcosina di più in merito a questa cosa ho già cercato di dirla in Presa diretta.

Quelle forme lì che si vedono nel trittico, fatte di ferro, intonaco e colore spatolato, non sono razionalmente ricunducibili a nulla di esistente, fuori e dentro le mura della nostra mente. Fino a poco prima erano inesistenti. Ora ci sono. Sono frutto di pura invenzione? Di un casuale e del tutto arbitrario vezzo creativo, fine a se stesso? Se fosse così, smetterei subito di perdere tempo in questa inutile attività (spesso mi sembra inutile lo stesso!). A me piace pensare che la loro esistenza non è dovuta solo al semplice fatto che ora, per mia deliberata e arbitraria decisione, se ne stanno li appese al muro. Ho la pretesa di pensare (e se fosse il tentativo disperato di resistere alla constatazione del fallimento?) che la loro esistenza si affermi perchè hanno dentro qualcosa che li rende visibili pur essendo degli “invisibili”, parlanti pur essendo muti.

Detto questo mi sono convinto che “la metamorfosi degli invisibili” sia un titolo splendido, perfetto direi, veramente. E’ il suo titolo. Grazie Tiziana.

Hai cambiato il titolo del trittico??
Non era "metamorfosi"?
Ormai per me questo quadro è associato a una metamorfosi perché ci avevo ragionato e avevo tratto la mia conclusione.

Ovvero il primo, il ferro, è una maschera, dura, che copre quello che c'è sotto.
Il secondo, rosso, è la carne, morbida, tenera, insanguinata, come dici anche tu, rossa.
Ma poi c'è il terzo, che significa

che

si giunge ad un compromesso tra la voglia di mostrar la propria carne debole (perché indifesa, tenera, debole perché ferita) e la voglia di proteggerla, nasconderla.

Quindi la metamorfosi di cose contrapposte (carne tenera e corazza dura), che si trasformano, entrambe, per giungere ad un compromesso.

E' così per tutti no?
Prima c'è una dura corazza
quando la corazza si rompe tutto quello che c'era dietro si riversa fuori senza più protezioni e impedimenti, ci si espone al rischio di essere feriti,
infine si trova un proprio equilibrio psicodinamico.

Ecco, a tutto questo mi aveva fatto pensare "la metamorfosi".

Ma a proposito di compromesso… "La metamorfosi de Gli Invisibili" ?
Oppure il titolo di questo commento…. che però è un po' "Apareggiante", è talmente strano e incomprensibile, che sarebbe da farci un convegno.. ;)

Notte.

Re: Una bella canzone
adriano (ospite) 26 Jul 2009 15:51
in discussione Hidden / Per page discussions » Anno 1965

Si anche a me piace molto il modo con cui l'ho scritta, mi è venuta di getto e ho in mente di lavorarci sopra ancora, aspetto che mi venga l'ispirazione giusta…
Bella veramente l'idea della canzone, in effetti potrebbe diventarlo.

Re: Una bella canzone da adriano (ospite), 26 Jul 2009 15:51
Una bella canzone
JuriJuri 26 Jul 2009 15:37
in discussione Hidden / Per page discussions » Anno 1965

Mi piace molto. Sì, mi piace l'idea. Probabilmente può anche essere sviluppata, ma è il modo che mi piace molto. Peccato che non so fare canzoni.

Una bella canzone da JuriJuri, 26 Jul 2009 15:37
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